Iacobo Fiamengo e Giovanni Battista De Curtis, uno “scrittoio” firmato e datato 1597

Nella Napoli di fine Cinquecento tra i maestri attivi nella costruzione di “scrittoi”, ossia stipi intarsiati in ebano e avorio, vi fu un ebanista, riscoperto da Alvar González-Palacios nel 1978, conosciuto con il nome di Iacobo Fiamengo. Non si conosce l’identità esatta di questo maestro, che in tutti i documenti d’archivio oggi noti che lo riguardano è sempre e solo chiamato “Fiamengo”, dunque proveniente dalla regione tra Belgio e Olanda, all’epoca sotto il dominio spagnolo di Filippo II. In quanto ebanista non è in grado di istoriare gli avori inseriti nei suoi mobili; per questa ragione ricorre a incisori, con cui ha l’abitudine di stipulare dei regolari contratti, alcuni dei quali, giunti sino a noi, costituiscono la principale fonte di notizie sulla sua attività. Del 1596 è un contratto che lega Iacobo a un incisore, Giovanni Battista De Curtis, che s’impegna a incidere su uno stipo “de sua propria mano et non d’altra persona” storie del Vecchio Testamento.

Ad oggi sono noti quattro mobili frutto di questa collaborazione. Tutti presentano incisioni tratte delle Storie di Romolo e Remo, ciclo di ventisei stampe di Giovanni Battista Fontana (1541-1587) edite tra il 1553 e il 1575.
Il primo, “preziosa antologia di motivi manieristici”, come lo ha definito il suo scopritore González-Palacios, è conservato al Museum für Kunst und Gewerbe di Amburgo. Esso reca in realtà due firme: quella di De Curtis e quella di un secondo incisore, “Iannuarius Picicaro” al quale spetta il planisfero sul piano scrittoio estraibile. Se il primo sappiamo essere l’incisore prediletto di Iacobo, nulla sappiamo del secondo, probabilmente un incisore specializzato in planisferi e carte geografiche, ricorrenti in questo genere di mobili.
Il secondo stipo, oggi presso il Museum of Art di Philadelphia, è caratterizzato da bellissime grottesche intarsiate in avorio su fondo di ebano che adornano le superfici esterne, rappresentando uno dei più significativi esempi d’impiego di queste capricciose figurazioni nella storia del mobile cinquecentesco. L’interno è celato da un’anta a calatoia su cui trova posto un planisfero, simile a quello presente sullo stipo di Amburgo, probabilmente opera del già ricordato Picicaro.
Presso il Victoria and Albert Museum di Londra si conserva il terzo stipo oggi noto. La facciata presenta la tipica organizzazione compositiva caratterizzata da un portale centrale, con colonne decorate da grottesche, capitelli corinzi e figure allegoriche.
Il quarto si trova infine a Genova, presso Villa del Principe. Datata 1616 è l’opera più tarda oggi nota di questo corpus di arredi. Il mobile fu purtroppo trasformato nel corso della prima metà del Settecento nell’alzata di un canterano, nel quale furono però fortunatamente inglobate le tarsie delle perdute ante.

A questo piccolo gruppo di mobili già noti se ne aggiunge un quinto: lo stipo presente in mostra, che, caso unico, De Curtis firma e data 1597. L’esterno è completamente intarsiato con finissimi arabeschi, in avorio su fondo d’ebano e viceversa. L’ebanista dimostra di padroneggiare in modo superbo questo genere decorativo, e di conoscere le invenzioni di arabeschi incise da Virgil Solis (1514-1562), quelle del Livre de Moresques di Francesco Pellegrino (?-1552) pubblicato a Parigi nel 1546 e del Grotesken und Mauresken di Peter Flötner (1485-1546), stampato ad Augsburg nel 1549. Il mobile, superiormente completato da una cornice aggettante, poggia su un alto basamento costituito da un unico ampio vano chiuso da uno sportello, che originariamente conteneva un virginale. Si tratta di un’usanza documentata in alcuni inventari seicenteschi.
L’impianto architettonico del fronte del palazzo interno è del tutto simile a quello del mobile ad Amburgo: cambia la proporzione tra i due ordini, a scapito del secondo le colonne hanno capitelli dorici. Più imponente il portale centrale, caratterizzato da un timpano spezzato su cui trovano posto due figure femminili in avorio scolpite a tutto tondo. Ritornano le grottesche presenti nello stipo di Amburgo; rispetto a quello l’ornamentazione, ispirata ai medesimi repertori, è più fitta.
Per quanto riguarda le placche istoriate, De Curtis incide, tra interno ed esterno, nove grandi scene tratte dalle incisioni di Bernardo Castello (1557-1629) per la Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, stampata a Genova da Girolamo Bartoli nel 1590. Placchette quadrate, ovali e quadrilobate – con gustose figurazioni di piccoli paesaggi, scenette di caccia, teste di carattere, episodi d’arme – impreziosiscono la fitta tessitura “a rabeschi”.
La firma di De Curtis si legge all’interno dell’episodio inciso sullo sportello centrale della facciata; la data, in numeri romani, compare all’apice dello stesso, celata sotto la chiave di volta del portale.