Ferdinando Pogliani (1832-1899)
Stipo su tavolo a console, 1876 ca.
Legno di noce e pero tinto nero intarsiato in ebano e avorio, cm. 170x84x40,5
Acquisito dalle Civiche Raccolte Artistiche del Comune di Milano, Museo dei Mobili, Castello Sforzesco
Un capitolo della storia delle arti decorative ancora da scrivere è quello relativo all’opera di Ferdinando Pogliani, ebanista e intarsiatore che, come ricordano le cronache del tempo, ebbe bottega e negozio a Milano, prima in Porta Vittoria e poi in via Montenapoleone[1]. Affiancato dai figli Giuseppe, Paolo e Carlo, Pogliani oltre a eseguire preziosi arredi per i più ricchi committenti del tempo si specializza nel restauro (e nella copia) soprattutto di mobili in ebano e avorio del secondo Rinascimento italiano. Grazie alla diretta conoscenza di queste opere, e sulla scia del revival storicistico che con Luca Beltrami (1854-1933) dilaga nella Milano del tempo, la bottega si contraddistinse per il particolare valore artistico dei mobili, sempre rivolti alle suggestioni dei secoli passati.
Con i suoi preziosi arredi, intarsiati e intagliati, Ferdinando Pogliani partecipò alle Esposizioni universali di Milano (1881), Vienna (1873), Philadelphia (1876), Parigi (1876) e Torino (1884 e 1898), imponendosi all’attenzione di un pubblico per lo più internazionale.
L’inedito mobile di cui si scrive, proveniente da una collezione parigina, è caratterizzato da proporzioni alquanto contenute. Sopra una piccola console con gambe a balaustro, lo stipo a nove cassetti è sormontato da una ringhiera a colonnine in avorio. Quasi certamente un mobile pensato ad uso di étagère per la biblioteca di un collezionista di stampe. Opera di straordinaria raffinatezza, soprattutto per quanto riguarda la qualità delle incisioni sulle placche in avorio, per le quali Pogliani si ispirò alle opere degli ebanisti nordici attivi a Napoli a cavallo tra Cinquecento e Seicento.
Le placche sui frontali dei cassetti recano incise a bulino scene tratte dal ciclo Les Grandes Misères et Malheurs de la Guerre, serie di acqueforti ideate e incise da Jacques Callot (1592-1635) e pubblicate a Parigi da Israël Henriet nel 1633. Il frontespizio dell’opera fu inciso da Pogliani nella cimasa del mobile.
Va ricordato a questo proposito uno stipo dalle forme simili, attribuibile anch’esso a Ferdinando Pogliani e decorato con scene tratte dal medesimo ciclo di Callot, oggi conservato presso il castello cinquecentesco di Azay-le-Rideau, nella valle della Loira. Anche nel partito ornamentale Pogliani dimostra una conoscenza del gusto cinque-seicentesco, impreziosendo le superfici con cartelle geometriche e leggeri motivi fogliacei. Nella console che regge lo stipo trovano posto raffinati rosoni e paesaggi con scene di genere. Al centro del piano inferiore, entro un tondo a mo’ di cammeo, è l’effige di un pittore a mezzo busto con cappello piumato: fantasioso ritratto di Jacques Callot in abiti romantici.
[1] E. Colle, “Dipingere con l’intarsiatura in legno”. Appunti sul mobile intarsiato lombardo, in Rassegna di studi e notizie, 1995, p. 133