Intagliatore Romano su disegno di Filippo Juvarra (1678-1736)
Due panchetti, 1711 ca.
Legno di noce intagliato e dorato, cm. 53x58x38
Mobili affascinanti questa coppia di panchetti per la loro qualità scultorea, guidata da un disegno che coniuga sapientemente forme della decorazione barocca con una non comune sintesi formale di derivazione architettonica. La serrata articolazione di linee concave e convesse genera punte, angoli e volute possenti che sostengono la seduta; volute più piccole poggiano a terra su piccoli plinti. Le gambe sono unite da una crociera le cui volute si uniscono nel centro formando un cespo da cui spicca una guglia tornita. I grembiali, parte di questo gioco di linee spezzate e nervose, sono centrati da una conchiglia stilizzata. Persino la forma dell’imbottitura della seduta conferma un disegno d’insieme ben meditato.
Nulla di simile si ritrova in altri mobili della stagione del barocco romano, alla quale essi appartengono, dominata, a cavallo tra Seicento e Settecento, da fantasie vegetali ispirate alle Nuove invenzioni d’ornamenti, d’architettura e d’intagli diversi di Filippo Passarini, scultore di mobili e carrozze, pubblicate a Roma nel 1698.
Il metodo compositivo che li impronta va cercato in un altro volume romano, di qualche anno successivo e meno noto. Si tratta della Raccolta di varie targhe di Roma fatta da professori primari […], disegnate ed intagliate da Filippo Juvarra architetto, edito nel 1711 e dedicato al cardinale Pietro Ottoboni. Cinquanta tavole costituiscono una grammatica compositiva rigorosa e un vocabolario ornamentale scelto, rivolto, come scrive il loro autore nell’introduzione, ai “virtuosi artefici”. Fantasie ornamentali barocche frutto di una mente architettonica, analitica, che l’ultima tavola del volume mostra munita di riga e compasso.
Che non si tratti di mobili da parata è evidente innanzitutto dalle loro piccole dimensioni. Scolpiti nel legno di noce lucidato a cera, la doratura è presente appena nella sottile modanatura che con linee curve in nervosa opposizione disegna il margine inferiore del sedile. Gambe, grembiali, cornici, crociere, eseguite secondo un disegno preciso, scolpite senza indugi da un bravo intagliatore, furono assemblate in modo sbrigativo: pochi incastri e numerosi chiodi. Seppur ricercati nel disegno, si confermano mobili d’uso che le misure indicano certamente concepiti per servire in un ambiente molto piccolo. Le numerazioni di bottega presenti sui fusti lasciano intendere che ne furono eseguiti un buon numero di questi panchetti, concepiti per i piccoli palchi di un teatro.
Nella Roma barocca, costruire piccoli teatri nei palazzi privati fu un’usanza di principi e cardinali. Uno dei più famosi ed esclusivi, tra i primi “all’italiana”, ossia a forma di ferro di cavallo con piccoli palchi su più ordini, vi fu quello realizzato su progetto di Filippo Juvarra, tra il 1709 e il 1711, per la corte del cardinale Pietro Ottoboni nel palazzo della Cancelleria Vaticana.
Qui vi eseguirono le loro musiche e le loro opere su libretto del cardinale, Arcangelo Corelli, Georg Friedrich Handel, Alessandro Scarlatti. L’Ottoboni non fu infatti solo mecenate, ma anche librettista, autore di un’infinità di componimenti: drammi, oratori, cantate. Memorabile la sfida al clavicembalo che qui ebbe luogo tra Georg Friedrich Handel e Domenico Scarlatti.
La bellezza di quest’opera perduta è testimoniata da alcuni dettagliati disegni di Juvarra, conservati alla Biblioteca Nazionale universitaria di Torino, in cui vi si legge la ricca decorazione plastica delle testate dei palchetti, con mensoloni, cariatidi, festoni di fiori e globi fiammeggianti con le armi degli Ottoboni. Del suo splendore ne scrivono i direttori dell’Academie de France in alcune lettere indirizzate al direttore dei batiments a Parigi: “Tutto è così ben disposto e così arricchito di dorature, che durante l’opera, non sappiamo quale parte meriti l’ammirazione del pubblico”[1].
La “Computisteria Ottoboni”, conservata presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, conferma che Juvarra vi lavorò dal 1709 al 1711, anno in cui questa preziosa sala di stucchi e intagli lignei dorati era completata[2].
L’interesse di Juvarra per l’arredo è ben noto agli studi; figlio e nipote di due dei migliori argentieri siciliani, le arti decorative furono un ambito progettuale che egli frequentò sempre con grande interesse, ne rimane traccia nel Fondo dei disegni conservato presso la Biblioteca Nazionale universitaria di Torino. In un foglio con la prima idea per la scenografia dell’Oratorio del Cardinale Ottoboni per la Quaresima del 1707 nel palazzo della Cancelleria Vaticana, non manca di accennare, in primo piano, tre piccole panche. In quella al centro si distinguono chiaramente le curve delle gambe, la fascia della seduta decorata da un grembiale. È uno schizzo rapidissimo, eppure l’idea del mobile è nitidissima, prossima a quella dei piccoli panchetti in questione.
Sarà soprattutto con l’arrivo a Torino, al servizio della corte Sabauda, che Juvarra avrà modo di dedicarsi con maggior impegno alle arti decorative, come progettista e regista degli interventi nei palazzi di corte. Sono di poco successive il suo arrivo a Torino, tra il 1714 e il 1718, quattro disegni di consoles con le armi di Vittorio Amedeo “re di Sicilia”.
È però a partire dal 1730, per volere del nuovo re Carlo Emanuele III, che il “Regio architetto” si occuperà della realizzazione di alcuni straordinari ambienti ancor oggi conservati. Per uno di essi, il Gabinetto del re, ci sono rimasti presso il Fondo Maggia della Fondazione Sella a Biella, tre bellissimi disegni di presentazione in cui, oltre alle decorazioni a stucco, egli specifica la foggia delle due consoles sormontate da scansie a uso di biblioteca che lo completano. Mobili messi in opera da Pietro Piffetti e Francesco Ladatte tra il 1731 e il 1734 oggi annoverati tra i capolavori
della mobilia europea del Settecento. Fino alla sua partenza per Madrid si continueranno a realizzare arredi che sono espressione del suo gusto, spesso proprio su suo disegno, come nel caso delle ventole per il salone da ballo della palazzina di caccia di Stupinigi, pagate all’intagliatore Giuseppe Marocco nel 1735.
Sono opere perfettamente coerenti con il metodo compositivo di Juvarra, disegnate e inserite con grande precisione nei contesti architettonici, che dimostrano come anche dettagli che potrebbero essere ritenuti marginali nell’ambito di grandi cantieri, sono invece disegnati da Juvarra con estrema attenzione. Nulla sembra sfuggirgli, consapevole – e forse ossessionato – del valore di ogni singola parte per il raggiungimento dell’idea di opera d’arte totale. Con assoluta coerenza stilistica i due piccoli panchetti, vere proprie sculture impreziosite da imbottiture che hanno la medesima sezione ellittica della volta del teatro, si inseriscono all’unisono nella decorazione dei palchetti del piccolo e prezioso teatro del Cardinale Ottoboni così come lo vediamo nei tre disegni in cui Juvarra ne specifica tutta l’ornamentazione. Sono il frutto del lavoro di un intagliatore romano che li scolpì seguendo un preciso disegno, diretta espressione dalla sintassi compositiva e del lessico ornamentale, con riscontri in alcuni casi addirittura palmari, epresso da Juvarra nelle tavole della Raccolta di varie targhe edita nel 1711, lo stesso anno del completamento dei lavori del teatro.
[1] A. De Montaiglon, Correspondance des Directeurs de l’Académie de France à Rome avec les souvrintendant des batiments, III, Parigi 1889, IV, Parigi 1893 [2] G. Gritella, Il teatro Ottoboni nel palazzo della Cancelleria Vaticana a Roma, 1709-1711, in: Filippo Juvarra, Vol. 1, Modena, 1992, p.113 e sgg.