Due candelieri di Odoardo Panini intagliatore di Petitot

Odoardo Panini

 

Odoardo Panini (1749 ca. – post 1811)

Coppia di candelieri, ultimo quarto del XVIII secolo
Legno di tiglio intagliato e dorato a mecca, cm. 86x26x26

Il nome di Odoardo Panini, “intagliatore ducale” attivo a Parma tra il 1769 e il 1796, è ricordato nelle Memorie di storia dell’arte parmense di Amadio Ronchini[1] ed Enrico Scarabelli Zunti[2]. Un breve ma approfondito contributo monografico gli è stato dedicato da Giuseppe Bertini nel 1979[3].
La data di nascita è desunta da Scarabelli Zunti grazie al censimento del 1811, in cui l’ormai anziano maestro, sessantaduenne e infermo, risiede presso il figlio Angelo, anch’esso intagliatore, quarantenne, residente con la moglie e quattro figli nel “Borgo chiuse delle Asse”. La successiva data di morte non è nota. Sebbene attivo per oltre quarant’anni nei più importanti cantieri parmensi, spesso lavorando per la corte su disegni dell’architetto ducale Ennemond-Alexandre Petitot (1727-1801), le notizie su di lui sono scarse, le opere giunte sino a noi delle rarità. La prima impresa documentata sono gli intagli per il primo braccio della Biblioteca Palatina, eseguiti in associazione con Ignazio Marchetti (1715-1800) su disegni di Petitot. I due intagliano, come testimonia un pagamento datato 12 marzo 1768[4], “anelli, mascheroni e foglie”.
Non si hanno più notizie sino al maggio del 1781, quando il Collegio di San Gerolamo gli commissiona l’altare maggiore della chiesa di San Pietro di Parma, che Panini esegue su proprio disegno. La commessa ammonta a 3000 lire e include, oltre al lavoro d’intaglio, quello del falegname, del fabbro, e tutto il materiale necessario. Per i medesimi committenti, nell’agosto dello stesso anno riceve la commissione per un’ancona, che s’impegna a consegnare entro il giorno di San Gerolamo, ossia la fine del mese di settembre. Panini, come si evince da questi due contratti, oltre che fedele interprete di disegni dell’architetto ducale è in grado di eseguire opere di sua invenzione, certamente ispirate al gusto di Petitot.
Due rescritti reali (3 marzo 1781 e 25 aprile 1782), accolgono la supplica di Panini di poter succedere allo scultore Ignazio Marchetti nella carica di intagliatore di corte, qualora questi dovesse cessare la sua attività. Panini dichiara di essere a servizio della corte da quando aveva 17 anni, dunque dal 1767[5]. Un terzo rescritto del 18 gennaio 1782, accorda a Panini l’uso di “due assoni di noce per fare alcuni mobili per una sua figlia che vassi a maritare.”

Antonio Basoli da Ennemond-Alexandre Petitot
Antonio Basoli da Ennemond-Alexandre Petitot, Disegni di candelieri, ultimo quarto del XVIII secolo. Bologna, Accademia Clementina

Tra il 1782 e il 1787, ed ancora tra il 1789 e il 1791, è documentata la sua attività in palazzo Sanvitale, dove lavora a fianco dell’architetto Angelo Rasori (1702-1783), allievo di Petitot. Panini “vi eseguì mobili di cui si sono perse le tracce; dovrebbero essere opera sua le boiseries di alcune sale ed il portone del palazzo”[6], ancora oggi in situ.
Nel 1785 esegue le cantorie dell’organo della chiesa di Santa Croce, come ricorda una scheda manoscritta dello studioso della Deputazione di Storia Patria parmense Giovanni Copertini del 1924[7].
Nel 1789, in associazione con il falegname Carlo Guerrieri, Panini sottopone al duca Ferdinando di Borbone un progetto “per la costruzione del nuovo braccio della R. Biblioteca”. I due non si aggiudicheranno la commessa che, nel 1791, andrà al falegname di origini fiamminghe Giovan Francesco Drugman.
Nel 1796, quando Ignazio Marchetti, intagliatore ducale, venne giubilato, a Panini fu preferito il fiammingo Ignazio Verstreckt. Fu però ricompensato con la carica di “Munizioniere delle Real Fabbriche”, ricorda Scarabelli Zunti, che gli garantì una  dignitosa pensione.

Il 24 luglio del 1797 riceve l’incarico, da parte dell’Ordine Costantiniano di realizzare, entro il Natale di quello stesso anno, una muta di “n.6 candelieri d’altezza braccia 3 ben proporzionati a dovere, con punte in ferro con inargentate pure le padelle siccome altra muta di 6 di braccia due e mezza su modello dei primi ed inoltre 6 vasi di braccia uno, pure inargentati corrispondente alla prima muta per la pattuita somma di £ 1610”[8] destinati all’altare maggiore della chiesa della Steccata. Rimpiazzano la precedente muta in argento, fusa per pagare a Napoleone i debiti di guerra. I candelabri, ancora oggi in situ sull’altare della chiesa, sono stati pubblicati per la prima volta da Luisa Bandera[9] e successivamente da Giuseppe Bertini[10]. L’intagliatore consegnò il tutto, senza l’argentatura realizzata dal doratore Giovanni Zurlini, il 19 gennaio del 1799. È parte della commessa anche una croce d’altare, probabilmente aggiunta successivamente.
Scarabelli Zunti attribuisce a Panini anche il pulpito della medesima chiesa, realizzato assieme al falegname Carlo Guerrieri, e le placche reggi candele per la Cattedrale, su disegno di Gaetano Callani (1736-1809), oggi perdute. Giovanni Godi e Giuseppe Cirillo gli hanno attribuito quelle della Parrocchiale di Sorbolo, derivate da un disegno, conservato presso la Biblioteca Palatina, riconducibile a Gaetano Callani[11].

Odoardo Panini

I due inediti candelabri di cui si scrive, caratterizzati dal fusto tripartito e dal forte carattere architettonico, mostrano un impianto perfettamente sovrapponibile a quelli dell’altare maggiore di Santa Maria della Steccata. Sono opere in cui, come ha scritto Giuseppe Bertini nel ricordato articolo, “laricchezza non annulla un sostanziale rigore compositivo, che si accomuna ad una estrema cura nell’esecuzione”. L’idea dei piedi, ripiegati a foggia di possenti greche, trova un diretto riscontro in quattro disegni di candelabri[12], conservati all’Accademia Clementina di Bologna, in cui Antonio Basoli (1774-1848) copiò, come ricorda un’iscrizione in calce al foglio, delle idee di Benigno Bossi (1727-1800), stuccatore e incisore, altro fedele interprete a Parma del gusto ornamentale di Petitot.
Panini, in questi due candelabri che vanno ad arricchire il ristretto corpus delle sue opere oggi note, da prova di avere perfettamente assimilato il gusto di Petitot, col quale collaborò per anni, dimostrandosi uno dei migliori intagliatori in legno attivi a Parma nell’ultimo quarto del Settecento.


[1] A. RonchiniIntorno alla scultura in legno, notizie storico-patrie, in AttiMemorie delle R.R. Deputazioni di Storia Patria per le Province modenesi parmensi, VIII, 1878, p.328 [2] E. Scarabelli ZuntiDocumenti e memorie di belle arti parmigiane, VIII, 1751-1800, Parma, 1911, c.161 [3] G. BertiniOdoardo Panni scultore in legno, in: “Antologia di Belle arti”, NN.9/12, 1979 pp.162-166 [4] ASP, Comp. Farnese e Borbonica, b.16a [5] G. BertiniOp.cit., p. 166 [6] G. BertiniOp.cit., p. 162 [7] G. BertiniOp.cit., p. 166, nota 11 [8] Si veda la scheda completa al sito: https://catalogo.beniculturali.it/detail/HistoricOrArtisticProperty/0800001813 [9] L. BanderaIl mobile emiliano, Milano, 1972, p. 249 [10] G. BertiniOp.cit., p. 166, nota 17 [11] G. Cirillo, G. GodiIl mobile a Parma, Parma, 1983, p, 184 [12] L. Bandera, Op.cit.,p. 249